Dalla diffusione di un’editoria specificamente rivolta ai piccoli, la fotografia è stata usata come modalità di rappresentazione privilegiata per comunicare con i bambini sin dalla prima infanzia.
Non stupisce perciò ritrovare immagini fotografiche già prima degli anni Trenta in una tipologia particolare di libri: i libri catalogo, quei libri rivolti ai bambini molto piccoli in cui si rappresenta e nomina la realtà circostante. Ancora oggi tanti libri cartonati offrono agli occhi dei poppanti cataloghi di fotografie del mondo, quotidiano o esotico, ciò che riconoscono e ciò che impareranno a riconoscere, i loro primari interessi: troviamo così libri con fotografie di volti, oggetti di uso comune e animali. Talvolta, alla fotografia si accosta un’immagine illustrata, o grafica, come nei libri catalogo di frutti, animali, insetti e oggetti di François Delebecque (1955).
I libri catalogo non sono sempre rivolti solo ai piccolissimi, né sono sempre costituiti da una semplice coppia di enunciato testuale più immagine, ma presentano nessi non scontati, evocativi, come nei libri della fotografa americana Tana Hoban (1917-2006) e oggi di Jill Hartley (1950). Alcuni dei libri catalogo in mostra possono essere letti come dei veri libri d’artista: l’abecedario in lingua dei segni Humans and other Animals di Broomberg & Chanarin e quello poetico Des signes et moi, l’alfabeto cittadino di The quickbrown fox jumps over a lazy dog o quello naturale del catalogo di attività ABC dei sassi di Mauro Bellei (1959). L’immagine fotografica viene usata nei libri catalogo anche come specifico linguaggio visuale, dotato di propri codici e potenzialità, in libri enigmatici come Nel buco dell’editore plurilingue Les cerises e in libri evocativi e pieni di rimandi, giochi semantici e logici come Tout un monde di Katy Couprie (1966).
L’immagine fotografica nei libri per ragazzi dunque facilita non soltanto il riconoscimento del mondo vicino, ma anche la curiosità, ed è per sua natura uno strumento per avvicinare le cose lontane. Così, si può curiosare nella giornata di due bambini francesi in Pas de bol! o di una bambina giapponese in Mirai Chan, o seguire gli itinerari di ragazzini più grandi che hanno attraversato grandi distanze in Stormyseas.
La fotografia trova naturalmente largo utilizzo nell’editoria di divulgazione, di cui qui abbiamo qualche esempio, come L’ogre Picasso e Guarda! di Joel Meyerowitz (1938).
La fotografia è stata anche usata come spunto per raccontare storie, montando dei teatrini o set fantastici dove si muovono personaggi in stoffa (nelle fiabe di Margaux Duroux e Kimiko), di carta (in Parking de nuit di Bruno Heitz), in plastilina e altri materiali (nei libri di Isabelle Gil). Modalità che non è certo nuova e che dal passato ancora oggi appare innovativa, come si nota sfogliando il libro per bambini ideato da Rodčenko con gli animali di carta scolpiti da Varvara Stepanova. Oggi è possibile leggere questo e altri esperimenti fotografici della prima metà del Novecento grazie a una rinnovata attenzione editoriale: Animaux à mimer è stato edito nel 2010 da Memo, partendo dalle placche originali del libro, che era rimasto in stato di progetto. In mostra tra i libri contemporanei, non pochi titoli vengono ancora oggi stampati e sono da considerarsi a pieno titolo come dei classici del passato: in primo Da lontano era un’isola di Bruno Munari (1907-1998), che possiamo ritenere il modello con cui tanti altri libri del panorama contemporaneo non possono fare a meno di confrontarsi, ma anche Cicci coccò di Enzo Arnone (1945) e Bruno Munari, Questa non è una pietra di Šašek (1916), Tutto da me di William Wondriska (1931).
Queste riedizioni di libri offrono l’occasione di notare come molte proposte contemporanee che utilizzano la fotografia siano in aperto debito verso i giochi di fotomontaggio di inizio secolo, e il numero in cui si fa uso di immagini fotografiche scontornate e rimontate è rilevante. Soprattutto, la fotografia viene usata oggi in combinazione con altri linguaggi espressivi; può essere utilizzata da sola, pura, o combinata al segno, o ancora rimontata, persino in dialogo con espedienti cartotecnici come in Bon baisers de Paris di Francesco Acerbis e Arianna Tamburini. Talvolta viene adoperata per inserire elementi reali, altre volte come strumento di estraneazione, molto spesso è un supporto per raccontare una storia e svolgere la narrazione.
Spesso la fotografia è presente nell’astuccio degli illustratori italiani in frammenti, porzioni, selezioni ritagliate e utilizzate come collages; un gioco di combinazione tra riproduzioni pittoriche, scenografie teatrali e fotografia nel lavoro a scatole cinesi per la rilettura di Suzy Lee (1974) di Alice in Wonderland e un lavoro combinatorio tra tecniche miste in Pere Ginard (1974) o ancora nell’autrice e illustratrice Beatrice Alemagna, che nelle affollate pagine piene di dettagli inserisce nascostamente degli elementi fotografici perfettamente plausibili per il contesto disegnato. Una foto incorniciata nella vetrina dell’antiquario, una brocca, ma soprattutto finestre e facciate sono parte integrante delle città, teatro delle avventure de Il meraviglioso Cicciapelliccia e di Un leone a Parigi. Una stratificazione di tante tecniche tra cui non è facile né evidente trovare la fotografia, naturalmente inserita nel fantastico. Ma ancora più propriamente di stratificazione possiamo parlare per le illustrazioni di Stian Hole (arriva fino a trenta strati!), dove è davvero difficile notare la fotografia, che però nella sua residualità offre un tocco estraneo, disorientante.
Tanti illustratori giocano disegnando intorno e sulla fotografia e dialogano con essa: Serge Bloch (1956), Giulia Sagramola (1985), Mauro Bellei (1959), Ninamasina (1981) tanto da far venire voglia ai lettori di giocare con le immagini fotografiche. Infatti non mancano libri di attività in cui l’inserzione fotografica è un richiamo al reale e un invito provocatorio a stravolgerlo, come nei libri di attività dell’atelier tedesco Labor e in quelli di Keri Smith o in Mon album de photos à dessiner et à colorier di Pascale Estellon (1953).